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Cinquant’anni

Il grafico della prima misura che mostra chiaramente la presenza della radiazione cosmica di fondo.
(Figura tratta dalla conferenza tenuta da Robert W. Wilson in occasione della consegna del premio Nobel per la fisica 1978.) 

Cinquant'anni fa, di questi tempi, Arno Penzias e Robert Wilson cominciavano a armeggiare con l'antenna di Holmdel e imboccavano la strada che li avrebbe portati a inciampare su una delle scoperte scientifiche più importanti di sempre. Non è ovvio stabilire una data precisa per la scoperta ma, se proprio si vuole, il primo grafico del rumore che solo molti mesi più tardi sarebbe stato identificato come il calore residuo del big bang è datato 20 maggio 1964.

La storia, lo sapete già, l'abbiamo raccontata in Cosmicomic. Per una bella coincidenza, proprio in questi giorni la traduzione del nostro fumetto esce anche in Spagna. Rispetto all'edizione italiana, l'editore spagnolo mi ha chiesto di aggiungere una nota finale che raccontasse a grandi linee cosa è successo in cosmologia negli ultimi cinquant'anni, e ho pensato di postarla anche qui. (Naturalmente, se volete un quadro più completo ci sono questo e questo.)

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Scrivendo Cosmicomic ho scelto di non avventurarmi nel racconto degli sviluppi più recenti, e ancora in divenire, della cosmologia, e di limitarmi alla storia consolidata di come ci siamo convinti che c’è stato un big bang. La scoperta della radiazione cosmica di fondo da parte di Penzias e Wilson è uno spartiacque nella nostra comprensione dell’universo: c’è un prima e c’è un dopo, e io mi sono volutamente concentrato sul prima. Qualche parola su cosa è successo in seguito si trova accennata nelle ultime tavole, ma forse qui può essere il caso di dire qualcosa in più.

Subito dopo la scoperta di Penzias e Wilson, i cosmologi cominciarono a studiare la possibilità di investigare minuscole variazioni nell’intensità della radiazione cosmica di fondo. L’idea era che il gas incandescente che riempiva l’universo primordiale non poteva essere completamente uniforme: dovevano esistere delle piccole fluttuazioni di densità che, nel corso dei miliardi di anni successivi, la gravità doveva aver amplificato per formare le centinaia di miliardi di galassie che vediamo nell’universo attuale. Ci vollero diversi decenni per trovare le prove di questa ipotesi. All’inizio degli anni novanta, un satellite della NASA chiamato COBE trovò queste minuscole fluttuazioni impresse nella radiazione cosmica di fondo, fotografando i semi da cui si è formato tutto ciò che esiste nel cosmo.

Nel frattempo, erano successe altre cose. Negli anni settanta, cominciò a prendere piede tra i cosmologi la possibilità che nell’universo ci fosse molta più materia di quanta i telescopi potessero osservare direttamente. Questa materia, ribattezzata “oscura”, doveva essere completamente diversa dagli atomi di cui sono fatte le stelle (e noi stessi): non emetteva o assorbiva luce, e si poteva notare la sua presenza solo per via dell’interazione gravitazionale.

Mentre le evidenze a favore dell’esistenza della materia oscura si andavano accumulando, emerse un nuovo scenario teorico che descriveva gli istanti iniziali del cosmo. Nel 1980, un giovane fisico di nome Alan Guth ipotizzò che le prime frazioni di secondo dell’evoluzione dell’universo fossero state caratterizzate da un’espansione violenta e rapidissima, chiamata “inflazione”, che aveva interessato una regione di spazio di dimensioni subatomiche. Al termine dell’inflazione l’universo doveva essersi ritrovato estremamente uniforme, in media, e con una curvatura su grande scala trascurabile. Non solo: l’inflazione prevedeva che le fluttuazioni quantistiche casuali presenti nella microscopica regione iniziale fossero state amplificate trasformandosi nelle fluttuazioni di densità da cui iniziò la formazione delle galassie. Quando COBE trovò davvero la traccia di fluttuazioni simili nella radiazione cosmica di fondo, la cosa fu letta come un punto a favore dell’inflazione (e fruttò ai leader dell’esperimento, George Smoot e John Mather, un premio Nobel per la fisica nel 2006).

Altri esperimenti studiarono le variazioni di intensità della radiazione cosmica di fondo con maggiore dettaglio negli anni dopo COBE. A cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo, diversi esperimenti (tra cui Boomerang, MAXIMA, e il satellite della NASA WMAP) riuscirono a ricavare da queste indagini importanti informazioni sulla struttura dell’universo: mostrarono, ad esempio, che la sua curvatura su grande scala era trascurabile, proprio come prevedeva l’inflazione, e rafforzarono l’evidenza a favore dell’esistenza di componenti oscure.

A questo proposito, il mistero si stava allargando. Nel 1998, due diversi team di astronomi scoprirono che l’espansione dell’universo aveva iniziato ad accelerare in tempi recenti, attraverso un meccanismo che sembrava analogo a quello che aveva scatenato l’inflazione iniziale. Attualmente, la spiegazione più probabile del fenomeno è che esista, in aggiunta alla materia oscura, una forma di “energia oscura” in grado di guidare l’espansione accelerata: questo scenario ha aperto una serie di interrogativi teorici che non hanno ancora trovato soluzione, andandosi a sommare al problema irrisolto di chiarire la natura della materia oscura. (La scoperta dell’espansione accelerata dell’universo è stata intanto premiata con il Nobel per la fisica nel 2011.)

E veniamo al presente. Proprio in questi ultimi tempi, nel marzo del 2014, una nuova scoperta potrebbe aver aggiunto un ulteriore, importante elemento alla nostra comprensione del cosmo. Il team dell’esperimento BICEP (un radiotelescopio operante al Polo Sud) ha annunciato di aver trovato nella radiazione cosmica di fondo le tracce della presenza di onde gravitazionali (increspature nello spazio-tempo previste dalla teoria della relatività generale di Einstein) di origine primordiale. La loro presenza è un’altra delle previsioni dell’inflazione e, se sarà confermata in futuro, potrebbe essere l’evidenza decisiva a favore di questo scenario. Questo ci aprirebbe una finestra verso eventi avvenuti quando ciò che poi è diventato il nostro universo esisteva da appena 10 alla meno 35 secondi. Saremmo arrivati incredibilmente vicini a osservare l'origine di tutto e a capire come sono andate davvero le cose. Per quanto ne sappiamo oggi, non si può guardare ancora più indietro nel tempo: ma le domande non sono finite, e noi continuiamo a cercare le risposte.
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Pane e meraviglia

Cercatori di meraviglia è stato l'argomento della puntata di ieri di Pane quotidiano, il programma di libri di Rai 3 condotto da Concita De Gregorio. Qui sotto c'è il video della puntata. (Nel caso non si vedesse, qui c'è il link diretto.)

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La simulazione più dettagliata dell’universo

© Illustris Collaboration
Quelle nell'immagine qui sopra, le avete riconosciute di sicuro, sono galassie. Quello di cui certamente non vi sareste accorti, se non aveste letto il titolo del post, è che non sono galassie vere, ma galassie virtuali. Sono state cioè create dentro un supercomputer, in una simulazione. Chiariamo: non stiamo parlando di una rappresentazione in grafica computerizzata, ovvero di una semplice, per quanto realistica, imitazione dell'aspetto delle galassie. No, le galassie si sono proprio formate dentro il calcolatore, attraverso un processo che mira a riprodurre i meccanismi fisici che pensiamo abbiano portato alla formazione delle galassie vere, nell'universo vero. Lo scopo, confrontando i modelli teorici con le osservazioni reali, è quello di capire come sono sbucate fuori le strutture che osserviamo nell'universo, a partire dalle condizioni iniziali esistenti dopo il big bang. 

Quelle galassie pazzesche, e moltissime altre, le ha prodotte la simulazione Illustris, l'ultimo passo nella creazione di universi sintetici al calcolatore. È la più dettagliata esistente al momento: prende un cubo rappresentativo dell'intero universo (350 milioni di anni luce di lato) contenente gli ingredienti del mondo reale (materia oscura, materia atomica, radiazione, energia oscura) nelle quantità giuste, e lascia agire la fisica per un periodo che copre tutta la storia del cosmo. Alla fine della cottura, il cubo contiene decine di migliaia di galassie, di cui è possibile osservare la struttura dettagliata e il modo in cui si dispongono nello spazio, raggruppandosi in gruppi, ammassi e filamenti, in una complessa rete di strutture che ha le stesse caratteristiche che osserviamo con i nostri migliori telescopi. Naturalmente, per produrre questo risultato la simulazione non ci ha messo quanto ci ha messo davvero la natura, ovvero 13.8 miliardi di anni, ma ci è voluto comunque un tempo ragguardevole: 19 milioni di ore di CPU su 8192 processori (l'equivalente di 2000 anni di calcolo su un singolo processore). E per analizzare tutti i dati prodotti ci vorrà più o meno quanto ci vorrebbe se fossero dati veri, così che molte zone della simulazione sono ancora inesplorate.

Se volete saperne di più e vedere altre belle immagini, andate sul sito di Illustris. Se invece volete solo un riassunto in sette minuti scarsi, mettete il filmato qui sotto in alta risoluzione a tutto schermo (magari togliendo l'audio), e provate a non spalancare troppo la bocca.

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Che c’è di nuovo con BICEP2?

© ESA/Planck Collaboration

Nei giorni scorsi si sono rincorse voci a proposito dei risultati annunciati un paio di mesi fa dall'esperimento BICEP2. La cosa è iniziata con un post sul blog di fisica delle particelle Resonaances che avanzava forti dubbi sull'analisi, affermando che il team di BICEP avrebbe male interpretato risultati non ancora pubblici della collaborazione Planck riguardanti la polarizzazione della nostra galassia, che ciò avrebbe portato a una stima sbagliata della contaminazione dovuta alla polvere galattica che di fatto annullerebbe la significatività della misura delle onde gravitazionali primordiali, e infine che il team di BICEP2 avrebbe persino riconosciuto l'errore. Il rumor è stato ripreso da Science e successivamente smentito con forza dai responsabili di BICEP2. Tanto per aggiungere carne al fuoco, qualche giorno prima del post la collaborazione Planck aveva pubblicato un articolo che conteneva proprio una nuova mappa della polarizzazione della polvere galattica (figura in alto), in cui la regione di cielo osservata da BICEP2 era però assente: questo ha alimentato ulteriori dietrologie. Insomma, la faccenda è ingarbugliata (e anche piuttosto tecnica, vi avverto), ma provo a dire qualche idea che mi sono fatto, magari sbagliata, da osservatore esterno (osservatore esperto, però).

1. Una delle incertezze nei risultati di BICEP2 (forse la principale) deriva, in effetti, dal fatto che non conosciamo completamente la polarizzazione della radiazione emessa dalla polvere che pervade la nostra galassia: purtroppo ci siamo immersi dentro, e si frappone fra noi e il segnale primordiale che vogliamo osservare. Questo problema è ben noto, e perciò BICEP2 ha osservato una regione di cielo che si ritiene poco contaminata (perché lontana dal disco della galassia), e ha poi tenuto conto della possibile contaminazione residua al meglio delle conoscenze attuali, estrapolando le informazioni disponibili. L'articolo lo dice chiaramente (pag. 12): "The main uncertainty in foreground modeling is currently the lack of a polarized dust map. (This will be alleviated soon by the next Planck data release.) In the meantime we have therefore investigated a number of existing models and have formulated two new ones."

2. I modelli dell'emissione galattica polarizzata usati da BICEP2 per stimare le possibili contaminazioni alla misura sono sei. Solo uno di questi è basato su dati di Planck: in assenza di dati pubblici, BICEP2 ha in effetti usato informazione estratta da una immagine preliminare mostrata durante una conferenza. Ma questo non è uno scoop, visto che la fonte dei dati (le slide della conferenza) è dichiarata esplicitamente nella nota 33 dell'articolo.

3. Il risultato finale di BICEP2 non sembrerebbe comunque dipendere in maniera cruciale dal solo modello basato sui dati di Planck. Anche ammettendo che l'analisi abbia sottostimato il contributo della polarizzazione galattica dalla mappa catturata dalle slide della conferenza (come afferma il post da cui ha avuto origine tutto il marasma), la correlazione con il segnale osservato resta comunque trascurabile.

4. L'articolo di BICEP2 riconosce che al momento nessuno dei modelli usati per stimare la possibile contaminazione dalla polvere polarizzata è completamente affidabile ("The probability that each of these models reflects reality is hard to assess"). Il risultato finale e la sua significatività cambiano quando si assume l'ipotesi peggiore riguardo alla contaminazione dalla polvere, ma non in maniera da annullare completamente il segnale osservato. Assumendo zero contaminazione (cosa chiaramente irrealistica) si ottiene un segnale r=0.2 (r è il rapporto tra l'ampiezza delle onde gravitazionali primordiali e delle fluttuazioni di densità) che scende a r=0.16 nel caso di peggiore contaminazione. L'ipotesi che non ci siano onde gravitazionali primordiali (r=0) è esclusa con una significatività che va tra i 5.9 e i 7 sigma.

5. Il fatto che la mappa appena pubblicata da Planck non contenga la regione osservata da BICEP2 non ha nulla di misterioso, ma è semplicemente dovuto al fatto che in quella regione il rumore strumentale rende le osservazioni ancora troppo incerte. Il che significa che al momento non abbiamo informazioni in più sulla possibile contaminazione nelle osservazioni di BICEP2 rispetto a quelle che già avevamo, e che quindi bisognerà aspettare che Planck renda pubblici ulteriori dati.

Per riassumere: non è affatto impossibile che le prossime misure della polarizzazione da parte di Planck (che dovrebbero arrivare entro fine anno) portino a una riduzione della significatività della misura di BICEP2. Non sarei sorpreso se la cosa spingesse il parametro r a scendere attorno a un valore di 0.1, e la cosa potrebbe anzi aiutare a riconciliare il risultato di BICEP2 con i limiti superiori trovati dagli esperimenti che lo hanno preceduto (Planck incluso). Ma al momento non abbiamo nessuna ragione seria per credere che l'analisi di BICEP2 sia sbagliata, come un po' troppo frettolosamente qualcuno ha scritto in questi giorni. Potrebbe succedere che la significatività della misura venga ridotta fino a annullare la scoperta annunciata a marzo? Potrebbe, certo, se venisse fuori qualcosa di nuovo e imprevisto sulla nostra conoscenza della polarizzazione galattica: ma per ora non c'è nessuna evidenza in proposito. E si è detto fin dall'inizio (come è normale in questi casi) che l'annuncio di BICEP2 non era la fine della faccenda. Insomma, non c'è niente di davvero nuovo e non è successo niente che non faccia parte del normale processo di indagine scientifica: si fa il massimo per fare le cose per bene, si pubblicano i risultati, e si cercano ulteriori conferme o smentite. Aspettiamo che la polvere si posi, non diamo troppo peso al rumore di fondo, e vediamo come va a finire.
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Cercatori di meraviglia


Domani esce il mio nuovo libro, Cercatori di meraviglia, pubblicato da Rizzoli (se proprio non resistete lo trovate già disponibile per l'acquisto online, per esempio su Amazon, anche in versione ebook). Il titolo viene fuori dalla mia convinzione che a guidare gli scienziati siano soprattutto la meraviglia nei confronti del mondo e la curiosità di capirne il funzionamento. Dentro il libro ci trovate un bel po' di storie di scienziati di tutte le epoche, mostrati in azione mentre cercano una risposta alle domande che li ossessionano -- domande apparentemente semplici, che però sono state alla base di grandi punti di svolta nella nostra comprensione delle cose.

Comunque, se volete farvi un'idea migliore fate prima a leggerne un pezzo, come quello che ha pubblicato in anteprima il Post. Se poi siete a Roma, potete anche passare alla presentazione che facciamo domani, mercoledì 9 aprile, alle 18, alla libreria Mondadori di Via Piave, così lo prendete in mano e lo sfogliate, come si faceva una volta, e se vi piace ve lo portate pure a casa. Mi pare tutto, per ora: per altri aggiornamenti, come si dice, restate sintonizzati (qui o su Twitter).
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Onde gravitazionali dal big bang: cosa ha scoperto BICEP2 e perché è importante?

Come largamente anticipato da voci che avevano iniziato a circolare la settimana scorsa, ieri l'esperimento BICEP2 ha annunciato di aver osservato la traccia di onde gravitazionali primordiali impressa nella polarizzazione della radiazione cosmica di fondo. Lo so, detta così suona tecnica e incomprensibile, ma se ci riesco vorrei spiegarvi perché invece si tratta (se confermata) di una scoperta epocale. Ci ho già provato ieri, nel corso degli eventi, a chi me lo ha chiesto (Europa, Il Giornale, Repubblica.it - e anche Repubblica Sera, a pagamento) ma adesso vorrei fare il punto con un po' di calma, ché ieri è stata una giornata parecchio concitata.

Se dovessi riassumere in una frase, la metterei così: quella trovata da BICEP2 è l'evidenza più diretta possibile di eventi che sono avvenuti appena 10 alla meno 35 secondi dopo il big bang. Per quanto ne sappiamo oggi, non si può guardare ancora più indietro nel tempo. Siamo arrivati più vicini possibile a osservare l'origine di tutto e a capire come sono andate davvero le cose.

Bellissimo, ma come è stato possibile? Andiamo con ordine. Come sapete, da queste parti abbiamo una lunga passione per la radiazione cosmica di fondo, ovvero il segnale radio che pervade tutto lo spazio e che proviene dalle fasi iniziali dell'evoluzione dell'universo (incidentalmente, è una fortunata coincidenza che appena due settimane fa io ne abbia parlato in tv, ma ci ho anche scritto un libro e un fumetto). Analizzando quel segnale possiamo ricostruire lo stato dell'universo quando aveva circa 400 mila anni. Quello che troviamo è che, all'epoca, il gas incandescente che riempiva tutto lo spazio non era perfettamente uniforme, ma aveva minuscole variazioni di densità. Con il tempo, quelle variazioni sono state amplificate dalla gravità fino a diventare stelle, galassie, ammassi di galassie, ecc.

Bene, ma cosa ha generato le variazioni di densità? La spiegazione teorica che è stata elaborata dai cosmologi negli ultimi decenni è basata su un meccanismo chiamato inflazione: all'inizio di tutto, una minuscola regione di dimensioni subatomiche si è espansa enormemente in un intervallo di tempo brevissimo, ed è diventata talmente grande che l'intero universo che oggi possiamo osservare ne costituisce solo una piccola parte. Ora, l'inflazione prevede una serie di cose: per esempio che l'universo sia molto "liscio" (ovvero molto simile ovunque, in media) e "piatto" (ovvero con una curvatura dello spazio trascurabile, su grande scala), cose che sono state effettivamente confermate dalle osservazioni. 

Ma la previsione più importante è un'altra: ovvero che le fluttuazioni quantistiche presenti nella regione microscopica iniziale diventino, alla fine dell'inflazione, perturbazioni nella densità di materia dell'universo. In pratica, l'inflazione spiega l'esistenza delle minuscole variazioni osservate nella radiazione cosmica di fondo, e lo fa in un modo che fa girare la testa: tutto quello che osserviamo oggi nell'universo - le enormi strutture che si estendono su scale di milioni di anni luce - è il risultato dell'amplificazione di agitazioni casuali su scala microscopica presenti una minuscola di frazione di secondo (10 alla meno 35 secondi, appunto) dopo il big bang. 

Tutto questo è meraviglioso e pazzesco, ma è anche vero? Be', la piattezza e l'uniformità dell'universo osservato sono argomenti forti, e la presenza delle fluttuazioni di densità è impossibile da spiegare con modelli alternativi. Ma si è sempre saputo che il vero indizio cruciale da cercare (la "smoking gun", la pistola fumante, come la chiamano gli anglosassoni) era un altro. Oltre alle "normali" variazioni nella densità di materia primordiale, l'inflazione dovrebbe avere prodotto anche increspature nel "tessuto" dello spazio tempo -- ovvero, un fondo di onde gravitazionali. Questa previsione è talmente specifica che osservare le onde gravitazionali primordiali è quanto di più vicino a una conferma diretta dell'inflazione possiamo sperare di ottenere. 

A questo punto dovreste cominciare a vedere l'importanza della cosa, o almeno spero. Quello che resta da capire è come fare a osservare queste famigerate onde gravitazionali primordiali. Un modo c'è, e qui torna in ballo la radiazione cosmica di fondo. Mentre le variazioni nella densità di materia primordiale restano impresse come piccole variazioni nell'intensità della radiazione cosmica di fondo proveniente da diverse direzioni del cielo, le onde gravitazionali primordiali si manifestano in un modo diverso, alterando la "polarizzazione" del segnale radio (la direzione lungo cui oscilla l'onda elettromagnetica).

Ok, stiamo andando sul tecnico, ma se siete ancora con me guardate l'immagine all'inizio del post. Le macchie di colore sono variazioni di intensità della radiazione di fondo, e quindi variazioni nella densità del gas primordiale che riempiva l'universo quattrocentomila anni dopo il big bang. I bastoncini, invece, mostrano la direzione della polarizzazione della radiazione cosmica di fondo. Il modo in cui si allineano i bastoncini attorno alle variazioni di densità è dettato (anche) dalla presenza o meno di onde gravitazionali. Analizzando questo pattern, quelli di BICEP2 sono riusciti a trovare la prova che c'erano, in effetti, onde gravitazionali del tipo previsto dall'inflazione. 

Insomma, con tutte le cautele del caso (perché, come sempre quando si parla di scienza, bisognerà fare ulteriori studi e ottenere conferme indipendenti) si tratterebbe di una scoperta storica, che sposterebbe la nostra comprensione diretta dell'evoluzione dell'universo indietro nel tempo fino a un passo dal momento iniziale. Lo ripeto di nuovo: non siamo mai stati così vicini ad avere le prove che tutto quello che osserviamo oggi nell'universo è il risultato dell'amplificazione di fluttuazioni microscopiche casuali presenti circa quattordici miliardi di anni fa in una minuscola regione di spazio-tempo.

Sono momenti che capitano raramente, con questa forza, ma sono i momenti in cui capisci quanto è meravigliosa la scienza e quanto sia grandioso poter avere un ruolo in tutto questo, che sia di protagonista, di comparsa o di semplice testimone. E se non ci credete, guardate la faccia di Andrei Linde (che è uno di quelli che, dopo l'idea iniziale di Alan Guth, ha speso più energie a studiare e perfezionare i modelli di inflazione) quando uno del gruppo di BICEP2 gli va a dare la notizia. 

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I Beatles e il big bang: il mio intervento a Che tempo che fa

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L’universo senza inizio di Einstein

Se avete letto Cosmicomic (o anche Il buio oltre le stelle), sapete che a Albert Einstein non andava proprio giù l'idea che l'universo avesse avuto un'origine. Il primo modello cosmologico proposto da Einstein nel 1917 (che poi è anche il primo modello cosmologico moderno, ovvero basato sulla teoria della relatività generale) descriveva un universo statico, che non cambiava nel tempo. Nel 1929, in seguito alle osservazioni e agli studi di Edwin Hubble e Milton Humason, venne fuori che le galassie si allontanavano con una velocità proporzionale alla loro distanza, e il modello statico di universo fu abbandonato. L'allontanamento delle galassie fu interpretato come un'evidenza che l'universo fosse in espansione a partire da un momento definito nel passato. Da qui iniziò la storia del modello del "big bang", che oggi sappiamo essere la migliore descrizione dell'evoluzione dell'universo osservabile. (Per inciso, l'ipotesi che Einstein introdusse per rendere statico l'universo, la cosiddetta "costante cosmologica", fu inizialmente considerata la sua più grande cantonata, ma poi è tornata in auge e oggi è uno dei grandi problemi aperti della fisica teorica.)

Ma, a quanto pare, Einstein non gettò la spugna molto facilmente. Si scopre, racconta Nature, che nel 1931 egli tentò di elaborare un modello in cui l'universo, pur espandendosi, restava, in media, sempre nelle stesse condizioni fisiche. (Continua a leggere sul Post...)
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